In una casa di pietra intonacata viveva una famiglia di contadini. Con tanta fatica, qualche soldo da parte e modesti sogni, si erano costruiti un’abitazione poco lontana dal paese nella campagna Veneta.
Avevano una cucina col camino vicino alla stalla al piano terreno. Una stretta scala di legno portava al piano superiore dove si trovavano due stanze non molto grandi e il fienile che accoglieva una dispensa fatta di sacchi di farina e zucchero.
Come d’usanza la famiglia della sposa prima del matrimonio aveva preparato in anticipo un po’ alla volta la dote, come si faceva per ogni figlia.
Tutto era stato annotato con cura a matita, in corsivo, sull’anta dell’armadio.
C’erano 14 lenzuola, 24 federe, 6 fasce, 20 fazzoletti, 12 asciugamani, 18 camicie e 6 mutande.
Era usanza del tempo: dopo aver deciso il matrimonio, si compilava un elenco di tutte le cose portate in dote e i due fidanzati vi apponevano la firma. Questo perché in caso di morte della sposa, e in mancanza di eredi, una parte della dote sarebbe stata restituita alla famiglia d’origine.
E riesco ad immaginarla quella sposa annotare poi in corsivo la data di nascita del primo figlio: Vittorio 26 novembre 1902 e poi del secondogenito Antonio nato il 31 maggio 1907.
Un armadio ricco di ricordi sparsi a matita in bella scrittura. Un diario che raccoglie date di più generazioni.
Si percepisce la sofferenza di una mamma che annota ” il 29 giugno parte il mio Gigetto ore 5, venuto in licenza il 29 giugno 1943″. E la data fa pensare subito alla guerra.
La scritta dopo riporta delle date importanti per Elvira e Luigi, novizi il 10 gennaio e sposi il 14 febbraio 1944, il giorno di San Valentino. E chissà se quell’abito da sposa in lino e pochi pizzi è stato appeso in una delle grucce di legno dal manico lungo trovate in questo vecchio armadio. Una decina di capolavori fatti a mano appese sul palo consumato e ondulato che ai tempi moderni son ricercate come oggetti vintage per abbellire pareti.
Un vecchio guardaroba massiccio in noce ad un’anta sola con un unico cassetto e meravigliose foglie intarsiate sulla cornice superiore che era destinato alla discarica insieme a tutti i ricordi annotati all’interno.
Un armadio che mi ha colpito subito appena l’ho visto in quella casetta di pietra intonacata di verde.
Ho deciso di trasformarlo completamente e farlo diventare una vetrina aperta.
Ho tolto e tenuto da parte l’anta diario: chissà mai cosa diventerà nel tempo quando avrò anche per lei l’ispirazione giusta.
Ho ridato nuova luce al mobile facendolo rinascere.
Ho scelto, dopo tutto un trattamento e una preparazione iniziale, di dipingerlo a pennello con un colore avorio, sfumandolo però in tortora negli spigoli per dare un effetto invecchiato e shabby.
L’interno l’ho voluto tenere originale, risaltando le venature naturali solo con una mano di cera trasparente.
Ho applicato 2 mensole dello stesso legno, ricavate da una tavola del medesimo periodo, trovata sotto un letto antico. (storia di un’altra vita vissuta che vi racconterò prossimamente).
Ho tenuto il palo di legno ondulato interno originale, facendogli girare attorno il cordoncino per applicare due punti luce.
Ho applicato una targa famiglia che ho fatto io e allestito con qualche oggetto vintage.
La famiglia che lo accoglie ora è diversa, è la mia, è moderna e con ben altri sogni…
Son passati quasi 120 anni da quella prima annotazione a matita in corsivo, oltre un secolo di emozioni vissute.
Emozioni forti però che son arrivate dritte al mio cuore nel 2020.
Se ti piacciono le mie storie vintage ti consiglio di leggere e condividere “le mie storie vintage”, “ i cassetti dei ricordi” e “ le damigiane “ .